UN VENTENNIO DI FOTOGRAFIE

 

Ho trovato nel mio archivio fotografico alcune immagini somiglianti scattate a distanza di venti anni. Ero in Mozambico nel 1992 e in Sierra Leone nel 2012. Un ventennio è un periodo dalla durata di tutto rispetto nella vita di un individuo: trovare casualmente un trait d’union fra l’inizio e la fine di un ciclo temporale, mi ha spinto a qualche riflessione, che forse può avere senso anche per chi non si occupa di fotografia.

Nel 1992 ero fresco nell’intento di diventare un fotografo, mi muovevo con molto entusiasmo in ogni impresa e non sembrava esserci nessun impedimento alla carriera, a patto di esercitare la volontà. Il viaggio in Mozambico, in un’epoca in cui era ancora afflitto da un feroce guerra civile, era scaturito dalla semplice volontà di esplorazione e dai contatti con una significativa amicizia mozambicana, che l’anno scorso è venuta meno in circostanze misteriose. Ma le immagini realizzate anche grazie a lei restano. Era un mondo prevalentemente analogico, in cui non si presagiva ancora la svolta in senso digitale, che avrebbero preso la fotografia e le comunicazioni entro pochi anni. I fotografi erano forse più numerosi che nell’epoca di Bressòn, ma infinitamente di meno rispetto alle numerose schiere  dei tempi attuali. In Africa si cercava il grigio medio per l’esposimetro sulla terra marrone rossiccia, per non sottoesporre il colore ebano della pelle! Ed ogni sforzo per realizzare le immagini, confidava in speranze ben riposte, che avrebbero senza dubbio trovato una loro collocazione in un periodico, una mostra o nella comunicazione di un’istituzione internazionale. Ci si immedesimava in paladini dell’immagine documentaria, si sentiva il brivido di poter raccontare il mondo attraverso i propri occhi ( http://www.eikona.eu//page/mozambico.php ).

Oggi nel 2015, già ben oltre il 2012, mi vedo di fronte ad uno scenario radicalmente mutato. L’avventura in Sierra Leone, che trovava motivazione in un commissionato della World Bank ,  sarebbe dovuta sfociare in una mostra patrocinata dal nostro Ministero degli Esteri, con fondi internazionali già stanziati. Per motivi apparentemente economici (in nome della crisi negli ultimi anni in Italia si sono giustificati molti rifiuti assurdi…), in dirittura d’arrivo e a lavoro finito gli sforzi sono sfociati nel nulla assoluto. Le immagini sono rimaste negli archivi della World Bank e nel mio sito (per il diritto d’antologizzazione), chiuse in un “cassetto” senza alcuna altra risonanza ( http://www.eikona.eu//page/sierra-leone.php  – http://www.eikona.eu/page/video.php ). Un’eventualità emblematica dei nostri giorni. In questo periodo di crisi economica, che in realtà sembra restare immanente solo in Italia,  case editrici, grandi marchi, grandi aziende e agenzie pubblicitarie arrancano fra prepensionamenti, tagli di budget, fallimenti, riduzione del personale, scarsità di commesse. Il capitale riprenderà a fluire, magari nelle mani di sempre meno persone, ma in realtà la questione è ben più profonda di una contingenza economica sfavorevole: siamo nel bel mezzo di un’epoca di transizione  tecnologica e culturale, e figuriamoci, qui  in Italia regna ancora  l’incertezza attonita su quali format sosterranno le future modalità di comunicazione ed informazione. A rendere instabile la posizione dei fotografi  professionisti contribuisce anche la pressione dello sterminato esercito di bipedi armati di macchine fotografiche, semoventi in un mondo di immagini fluide dalla durata instantanea, alla ricerca di facili opportunità e senza nulla da perdere (spesso la fotografia è un secondo lavoro), senza regole, né etica professionale.  Mentre i fotografi aumentano la richiesta si contrae, a causa della morte un mercato dove la domanda ormai supera di gran lunga l’offerta, e non è ancora  sorta dalle sue ceneri la fenice di un altro sistema con le sue nuove regole.

E per quanto riguarda i soggetti: i bambini africani nelle immagini? Festosi nel 1992, e con uno sguardo silenzioso nel 2012? In realtà tutto questo drammatico cambiamento che affligge l’occidente individualmente, professionalmente ed economicamente, è molto lontano. Sono sempre lì, nella loro immutabile condizione che non vive nessun cambiamento. Traditi nelle loro speranze da una cooperazione ed aiuti umanitari sempre più frammentati ed inefficaci. Afflitti da uno sfruttamento reiterato di ogni risorsa e ricchezza da parte di piccole e corrotte oligarchie locali e potenze straniere (fra l’altro in tutta l’Africa è in corso una seconda colonizzazione ad opera dei cinesi: una realtà interessante per chi volesse descriverla!). Fermi nella loro resistenza atavica alle contrarietà della vita, alle mutilazioni, la povertà, la fame, la violenza e la privazione. Forse più disillusi, ma sempre ingenuamente disponibili al sorriso.

L’immagine di bambini che sorridono in mezzo alla polvere, è emblema di un’umanità resiliente e dura come l’ebano. Forse l’unica che ha la forza di affrontare sorridendo la crisi, perchè tanto sono in crisi da sempre.  Affinchè il nostro futuro sia luminoso, ci vorrà la stessa tempra per essere totalmente dediti al lavoro e con tutto noi stessi salvaguardare tenacemente quella scintilla che ci ha fatto prendere in mano la macchina fotografica per la prima volta.  La scintilla che ci ha fatto cogliere ed isolare innumerevoli frammenti di realtà ed estetica. E ogni istante, se ripetuto o congelato, é diventato eterno, permettendoci di intravedere a momenti spiragli di libertà.

La Fabbrica del cibo eterno!

Finalmente una pubblicazione con un servizio realizzato durante il mio soggiorno a Tokyo. I tempi sono estremamente difficili per vedere pubblicato qualsiasi tipo di reportage, viste le condizioni barcollanti dell’editoria italiana. Molte immagini stazionano postate su flickr per farle vedere a chi interessa. 10 anni fa con molto meno impegno e foto ho ottenuto subito diverse pubblicazioni…

Herb Ritts in mostra a Roma

‘Cerco di produrre immagini che, tra 100 anni, non mostreranno il minimo segno del tempo. Forse questa è eleganza…’ O forse questa è la grandezza della fotografia per cui se un istante è ripetuto o fissato, diventa eterno.

Una mostra da non perdere! “In piena luce” retrospettiva eccezionale di immagini (alcune inedite) di Herb Ritts, uno dei maestri imprescindibili dell’arte fotografica. Fashion, studi sul corpo e ritratti di icone della moda e dello spettacolo, oltre alle immagini del reportage in Africa. Una plasticità neoclassica in B&W ferma nel tempo e carica di stile. Inizialmente non utilizzò mai alcun accorgimento tecnico, nemmeno luci che non fossero quella solare e il suo stile semplice, ed efficacE. Avevo 17 anni quando mi feci regalare un libro di sue immagini ed è sempre stata una latenza nei miei percorsi visivi. Certo il cast dei personaggi dei miei ritratti non è quasi mai stato composto da simili celebrità. Questo è uno dei mali che affligge la fotografia italiana quando si svolge principalmente in patria, e ci fa sentire sempre come dei cugini di campagna. Qualche cenno biografico è sempre utile per chi si avventura su percorsi fotografici: c’è stata una prima volta per tutti, certo il punto di partenza fa la differenza.

Nato a Los Angeles in California, il 13 agosto 1952, da una facoltosa famiglia che tuttora possiede un’azienda di mobilia tra le più rinomate di Los Angeles la Ritts Co., Herb era il più grande dei quattro figli Rory, Gary e Christy. Passò la sua adolescenza tra studi d’arte ed economia e tentativi di sfondare nel mondo del rock. Nel 1974 conseguì la laurea al Bard College a New York e tornò a Los Angeles per lavorare come rappresentante nell’azienda di famiglia. Fu in quel periodo che Herb fece coming out dichiarando alla sua famiglia la propria omosessualità. In questo periodo cominciò a prendere lezioni di fotografia, seguendo alcuni corsi serali, decidendo di dedicarsi all’arte. La sua prima occasione si presentò nel 1978 quando scattò delle foto all’amico attore Richard Gere durante una gita nel deserto di San Bernardino, Herb e Richard si fermarono in una stazione di servizio per cambiare una ruota forata e mentre Richard sostituiva la ruota Herb scattò delle foto all’attore in jeans e canottiera con le mani sulla nuca e la sigaretta che pendeva dalle labbra. Le foto vennero usate per promuovere il film American Gigolò e riscontrarono successo a livello nazionale grazie alle copertine di molte riviste come Newsweek, Vogue, Esquire e Mademoiselle tanto da procurargli ben presto delle commissioni. La prima fu quella di Franco Zeffirelli per ritrarre gli attori di The Champ, successivamente lavorò per Andy Wahrol e L’uomo Vogue. Nel 1979 la rivista Mademoiselle si affidò a Herb Ritts per fotografare la giovane attrice Brooke Shields, le foto furono talmente belle che una di quelle apparve sulla copertina di Elle l’anno successivo. Il modello Matt Collins lo presentò a Bruce Weber e i due diventarono subito amici. Franca Sozzani allora direttrice di Vogue Italia prese Herb sotto la sua ala e lo fece lavorare per la sua rivista insieme a una nuova generazione di giovani talenti come Steven Meisel, Bruce Weber e Peter Lindbergh.

Durante tutti gli anni ’80 e ’90 riuscì a imporsi definitivamente sulla scena mondiale creando un nuovo glamour femminile e per la prima volta uno tutto maschile presentando uomini palestrati in pose plastiche che si ispiravano alla scultura dell’antica Grecia, questo era esattamente quello che cercava il fashion italiano in quel periodo, nel momento in cui il glamour esclusivamente femminile si stava estendendo anche all’uomo. Questa novità ha fatto la fortuna di stilisti come Gianni Versace e Giorgio Armani e portò Herb nell’olimpo della moda e della fotografia.

“Lo stile di Herb Ritts è inconfondibile, nutrito di uno sguardo potente – uno sguardo che idealizza – e che arrivò proprio nel momento giusto. Uomo colto e sensibile, appassionato di arte e di storia della fotografia, Ritts studiava le composizioni classiche, la plasticità del dialogo tra i corpi nell’arte rinascimentale, così come nelle fotografie di inizio secolo. Rapito dal rigore formale del fotografo tedesco Herbert List (suo riferimento irrinunciabile per tante immagini), Ritts cercava di comprendere il mistero che risiede al fondo di quelle perfette composizioni di luci e di volumi che, spesso distrattamente e con superficialità, vengono chiamate semplicemente “fotografie di moda”. Come è possibile restituire sulla carta fotografica il tocco serico di un tessuto cangiante, come mantenere l’aura magica di piacere che un abito di alta sartoria emana, come mettere in relazione l’aria densa di un giorno di sole con il vento, la sabbia del deserto, la pelle di una modella? Tutte le immagini create dalla fantasia e dalla professionalità di Herb Ritts nascono dal lavoro intorno a questi temi e dalla possibilità di trovare a ogni momento, per ogni immagine da realizzare, una nuova soluzione, una nuova risposta. Gli elementi naturali di cui si alimentava il suo sguardo – il vento, la luce e la terra della California, l’orizzonte a perdita d’occhio, gli spazi immensi – entrano in ogni sua fotografia. Il risultato è una combinazione, rara e preziosa, geniale eppure semplice, di questi ingredienti. Così come i lavori sui corpi statuari, sulle atmosfere africane, anche i ritratti di Ritts appaiono inimitabili, nati ognuno da un’intesa profonda, un’affinità intellettuale, spesso da un rapporto di amicizia. Madonna si affidò a lui per la costruzione della sua multiforme immagine e per la foto della copertina di True Blu, il suo primo LP di successo. Nello stesso modo Liz Taylor, altra grande amica del fotografo, confidò proprio al suo obiettivo tutta la fragilità del suo corpo: la sua testa bianca, quasi completamente rasata dopo l’operazione di tumore al cervello, riempie senza vergogna il rettangolo dell’inquadratura, stagliandosi elegante sul nero dello sfondo. E ancora, il corpo sinuoso di Tina Turner, lo sguardo e gli occhiali di William Burroughs, le guance straripanti di Dizzy Gillespie che si espandono su uno sfondo bianco. Non esiste alcuno standard, nessuna formula preconfezionata nei ritratti di Ritts. Per ognuno, il fotografo inventava una creazione originale e semplice, tagliata su misura, folgorante e perfetta. E per ognuno di loro, esattamente come è avvenuto per le cinque supermodelle della sua foto forse più celebre, Ritts realizzava una creazione autonoma”.

 

 

Il suo stile diventò ricercatissimo e gli permise di lavorare per le più importanti riviste tra cui Elle, Time, Harper’s Bazaar, Rolling Stone, Allure, GQ, Vanity Fair, Interview, The Face, Vogue, Max, Details e Glamour, ritrarre personaggi famosi e modelli, allestire le campagne pubblicitarie di Giorgio Armani, Gianni Versace, Elizabeth Arden, Guess?, CoverGirl, Lexmark, NEC, Cartier, Donna Karan, Guy Laroche, Calvin Klein, Lacoste, Pirelli, Chanel, Escada, Gianfranco Ferrè, Revlon, Rochas, Brut, Estée Laudeer, Levi’s, Ralph Lauren, Tag Heuer, Victoria’s secret, The GAP, Lancome e Valentino. Alcuni soggetti tra le celebrità da lui ritratte in bianco e nero includono Kofi Annan, Ronald Reagan, Nelson Mandela, Julia Roberts, George Clooney, Tom Cruise, Elton John, Isabella Rossellini, Tenzin Gyatso (il Dalai Lama), Brad Pitt, Nicole Kidman, Helmut Newton, Jack Nicholson, Dustin Hofmann, Mel Gibson, Tina Turner, Antonio Banderas, Mick Jagger, Clint Eastwood, Ewan McGregor, Michael Jackson,  Sinead O’Connor ed Elizabeth Taylor. Muore di polmonite il 26 dicembre 2002 http://www.auditorium.com/eventi/5647085 http://www.herbritts.com/

Nudo D'Ebano

Dark Ladies

Circle

The Cage

Nudo D’Ebano


Terzo appuntamento sulla fotografia di nudo presso lo studio eikona. Continua l’esplorazione delle forme del corpo femminile. Una giornata insieme a Guido Fuà e la modella Myriam Vivienne. NON PERDERE QUEST’OCCASIONE.

CONTATTACI ORA            PRENOTATI SUBITO

PROGRAMMA:

14:00
presentazione del workshop e visualizzazione di immagini di esempio della fotografia di nudo. Scelta dei layout insieme ai partecipanti e spiegazione dei set di luce flash e di luce continua necessari a realizzare le immagini selezionate.
15:00
realizzazione scatti del primo layout scelto con illuminazione flash.
17:00
montaggio secondo set e realizzazione scatti con luci continue.
18:30
alla fine delle due sessioni fotografiche si svolgerà una revisione del lavoro svolto al fine di aiutare a costruire un portfolio da inserire nel proprio curriculum fotografico.
CONTRIBUTO TOTALE DI PARTECIPAZIONE:
130€ – CONTRIBUTO STANDARD
115€ – SCONTO STUDENTI OFFICINE FOTOGRAFICHE
100€ – SCONTO PER ALLIEVI DEI CORSI DI GUIDO FUÀ

l’acconto di 30€ da versare al momento della prenotazione verrà sottratto dal costo totale del contributo.

ATTENZIONE: il giorno del workshop è necessario presentarsi con il ticket di prenotazione stampato.

LOCATION:
eikona studio
via degli Anemoni 6,
00172, Roma

cellulare: +39 3356053840

Nudo D’Oriente 2° Edizione

 

Dopo il grande successo della prima edizione, Yu-Hsun torna a Roma per un nuovo workshop di nudo artistico con Guido Fuà. Non perdere questa occasione.

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PROGRAMMA:

14:00
presentazione del workshop e visualizzazione di immagini di esempio della fotografia di nudo. Scelta dei layout insieme ai partecipanti e spiegazione dei set di luce flash e di luce continua necessari a realizzare le immagini selezionate.
15:00
realizzazione scatti del primo layout scelto con illuminazione flash.
17:00
montaggio secondo set e realizzazione scatti con luci continue.
18:30
alla fine delle due sessioni fotografiche si svolgerà una revisione del lavoro svolto al fine di aiutare a costruire un portfolio da inserire nel proprio curriculum fotografico.
CONTRIBUTO TOTALE DI PARTECIPAZIONE:
130€ – CONTRIBUTO STANDARD
115€ – SCONTO STUDENTI OFFICINE FOTOGRAFICHE
100€ – SCONTO PER ALLIEVI DEI CORSI DI GUIDO FUÀ

l’acconto di 30€ da versare al momento della prenotazione verrà sottratto dal costo totale del contributo.

ATTENZIONE: il giorno del workshop è necessario presentarsi con il ticket di prenotazione stampato.

LOCATION:
eikona studio
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Il nuovo volto dell’Italia

 

Volti nuovi, dalla fisionomia indefinibile e affascinante, si muovono per le nostre città. Figli degli incontri interrazziali, sono i creoli italiani. Questi nuovi cittadini fanno breccia senza clamori e sempre più numerosi nella nostra realtà nazionale ed apparentemente monoculturale, rompendo la dialettica che contrappone noi alle altre razze e diventando spazi nel mezzo, figure di passaggio che non fanno parte di nessun gruppo. Il termine “creolo” (criollo, kriol, creole), ancora poco usato nel nostro lessico, è molto noto nelle società dell’America latina e dei Caraibi, usato per indicare quegli individui nati dall’unione di genitori francesi, spagnoli o portoghesi con indios nativi o individui di discendenza africana. Con sempre maggiore forza emergerà una nuova umanità che avrà tutte le caratteristiche della umanità creola: il figlio nato e residente a Pechino di un italiano che ha sposato una haitiana, sarà diviso e combattuto fra più lingue, più storie, preso nell’ambiguità torrenziale di un’identità mosaico. Creoli?!? Per definire un fatto sociale per noi abbastanza nuovo, è la parola preferibile. Più ampia ed indefinita, con il plusvalore dell’imprevedibilità creativa dei risultati (come le lingue creole!), sembra migliore rispetto agli altri sinonimi possibili: meticci, mezzosangue, mulatti…, troppo legati alla calcolabile specificità razziale e genetica. Del resto, la “creolità” fisica, che in alcuni luoghi del pianeta si è realizzata già da molto tempo, è solo il punto di partenza. Il punto d’arrivo è la la compresenza simultanea di elementi culturali molteplici, che ormai si da in qualsiasi angolo della terra ed in qualsiasi persona, a prescindere dalle origini genetiche. La nazione, un mito formato dalle varie intellighenzie, rimane in vita solo nei discorsi che la rendono immaginabile, mentre sulla scia dei flussi migratori e mediatici mondiali, avvengono continue contaminazioni trasversali fra culture, che portano a stili di vita sempre più ibridi. Il mondo intero si creolizza, perché le culture in contatto con le altre, non possono resistere ai continui scambi e alle reciproche influenze. I mondi lontani abitano nella porta accanto, e ciò che è familiare emigra e può risiedere anche a molta distanza. Usciamo di casa e balliamo salsa, mangiamo couscous e ascoltiamo musica rap, le ragazze si fanno le treccine alla maniera africana. Al cinema Denzel Washington, un afroamericano, diventa un sex symbol, i nuovi eroi hanno un colore diverso dal nostro, la televisione (le rare volte che è buona tv) ci racconta altre culture: si creano miti e punti di riferimento non più solo italiani. La “creolità” è l’aggregato in cui interagiscono e transagiscono gli elementi culturali caraibici, europei, africani, asiatici, levantini che l’evoluzione storica ed economica hanno riunito sullo stesso suolo ed i creoli diventano simboli di una nuova società mondiale. I versi di Josè Martì, poeta cubano “Yo vengo de todas partes y hacia todas partes voy “, definiscono la vita culturale dell’uomo dei nostri tempi: un essere che si ridefinisce costantemente a partire dal permanente incontro con le culture degli altri mondi. Il multiculturalismo ormai planetario, ci coglie forse impreparati? Le nostre menti italiane, ancora irrigidite in un impasto culturale classicheggiante, animate dal pregiudizio di una supposta superiorità culturale, che risale sempre senza originalità fino ai perduti fasti dell’impero romano, dovrebbero darsi liberamente ad una visione più ampia del mondo e abbandonare la nostra pretesa universalità (unico verso), rieducandosi alla luce della pluralità multietnica. Per dirla con Sartre “bisogna estirpare il colono che è in noi” (forse sarebbe meglio “centurione” nel nostro caso!) e cominciare a pensare come un peul, un indio, come un haitiano od un sikh. Si tratta di temi inerenti ai problemi dell’integrazione fra popoli, del colloquio fra i mondi, della comprensione delle diversità da cui non si può prescindere. Abbiamo storicamente disponibili due modelli: quello delle società già creole e realizzate sebbene con dei conflitti (America Latina e Carabi); e quello wasp (white anglosaxon protestant) con la sua ideologia del melting pot nordamericano (per altro fallita), il multiculturalismo alla maniera sassone e yankee, fatto di conflitti e di separazioni, che prevede un’omogeneizzazione delle differenti componenti etniche in un’unica cultura. Considerato il diverso momento storico mondiale, e senza fare appello al “buonismo” italiano o ad una mentalità più tollerante, che forse poggiano sulla consapevolezza rimossa di essere noi stessi dei creoli atavici (l’unità d’Italia è un fatto relativamente recente!), ci si chiede se in Italia l’integrazione avrà un percorso diverso e meno conflittuale che altrove nel passato. Facciamo solo finta di aver superato le problematiche legate alla recente massiccia immigrazione. Siamo già alla generazione successiva, e si pone l’imperativo di imparare a stare con gli altri nella massima apertura della presenza e della contaminazione quotidiana. Intendere le differenze e salvarle, anche amarle, vuol dire scegliere nei caratteri degli altri e delle altre culture senza paura di perdere la propria identità, ma piuttosto esaltare le differenze fra i vari gruppi che ormai compongono la società.
I creoli portatori della differenza, sono i simboli dell’evoluzione del mondo dove la creolità è il mondo diffratto e ricomposto in un vortice di significati veicolati da un unico significante. Esemplificano il modo di sopravvivere nella diversità, lontano dall’unico e dall’identico, perché oppongono all’universalità e alla purezza scismatica, tutte le opportunità dell’armonizzazione cosciente delle diversità preservate: la diversalità.

Thom Yorke

Thom Yorke per XL
Uno dei rari casi in cui la professione diventa gratificazione. Raramente ormai provo soddisfazione per i risultati del mio lavoro ma non è questo il caso. I ritratti che ho realizzato di Thom, mi sembrano un risultato particolarmente felice, senza mistificazioni, con il massimo della neutralità possibile che renda il personaggio per quello che è… — presso Hotel de Russie.