L’idea di una raccolta d’immagini da riunire sotto il titolo di “Sguardi collaterali”, è scaturita da una reiterata e sperimentata separazione tra fotografia intesa come professione e allo stesso tempo vissuta come strumento di libera espressione creativa. Una folta agenda di lavori fotografici commissionati procura sicurezza economica, ma a volte comporta anche obblighi e limitazioni, secondo canoni estetici vincolanti e necessità descrittive diverse dalle proprie inclinazioni.
Lo sguardo collaterale, è uno scarto dell’occhio rivolto per caso o per destino di lato rispetto al soggetto focalizzato, quel movimento del collo verso un particolare incongruo e non pertinente, che risiede fuori del nostro campo della visione. Le quattordici immagini surreali, ironiche, drammatiche, mediate oppure colte nella loro immediatezza, costituiscono una raccolta di schegge diverse. Il loro unico legame è nascere da un impulso ribelle della visione, che distoglie lo sguardo dalla scena della routine professionale, e per puro impulso creativo indirizza la sua attenzione in modo collaterale verso un soggetto inaspettato e del tutto, o quasi, slegato dalle circostanze professionali. Una rivendicazione di libertà espressiva, che cerca profondità e spessore in un mondo in cui a volte i meccanismi della visione sembrano essere frettolosamente orientati e focalizzati entro limiti angusti e superficiali.
Come ha commentato Augusto Pieroni, critico e antropologo: “La fotografia commerciale e ritrattistica, spesso si svolgono in locations e con modalità temporaneamente sottratte al normale flusso della vita. A volte quest’ultima trapela nei momenti più imprevisti dietro ai riflettori, intorno ai cavalletti e agli assistenti. Perfino i reportage presentano dei controcampi rivelatori che rifocalizzano improvvisamente il pensiero fotografico. Guido Fuà non ha fatto che collezionare una serie ricca ed eterogenea di simili “sguardi collaterali”, come li ha definiti lui stesso. Questa raccolta costante d’istanti ha come unico tratto comune quello di affermarsi come una verità imprevista, che si sostituisce a quella prevedibile e retorica che il fotografo era stato chiamato a costruire. Momenti in cui lo sguardo fa vacanza, si distrae e si ricrea, si deconcentra e si diverte, si astrae e sprofonda in un pensiero. Guido Fuà ci offre un itinerario serrato e rigoroso nella sua costruzione in forma di racconto collaterale, grazie al quale lo spettatore fissa nella propria mente l’immagine, che può osservare e ponderare nello scenario virtuale di una fotografia ufficiale ora, per una volta, totalmente invisibile”.